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Recensione di Giulia Paola Di Nicola (Sociologa) del libro di Fábio Régio Bento, “Il Sogno di Chiara: La Realtà in Chiara Lubich (CEPRIR, 2024)

Il 24 aprile il CEPRIR ha lanciato il libro “Il sogno di Chiara: La Realtà in Chiara Lubich”, scaricabile gratuitamente qui.

Questo martedì, il Centro è lieto di annunciare una recensione scritta dalla sociologa Giulia Paola Di Nicola, una rispettata ricercatrice che insegna Sociologia in diverse università italiane ed è professore in visita presso università in Canada, Belgio, Germania e Brasile. È vicepresidente della Commissione di Parità della Regione Abruzzo. Con Maria Clara Bingemer è autrice di Simone Weil: Azione e contemplazione.

Dai un’occhiata alla recensione qui sotto o scarica il testo qui.

Fábio Régio Bento. IL SOGNO DI CHIARA. La Realtà in Chiara Lubich (CEPRIR, 2024)

L’autore, brasiliano con un bagaglio di studi teologici e sociologici e una ricerca su Rivoluzione e religione in America centrale, presenta i risultati di una comparazione tra il pensiero-carisma di Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei focolari, e quella parte della cultura contemporanea da lui assimilata. Ne risulta un lodevole sforzo di comparazione, che dalla sociologia guarda a Chiara e da Chiara alla sociologia (metodo ascendente-discendente). L’autore spazia su più piani disciplinari a vantaggio di una certa riunificazione dei saperi, nella convinzione che la teologia non può fuggire la realtà e che questa non può essere limitata alle sue apparenze (‘realogia’). 

Perché non sia chiuso e dogmatico, il sapere deve aprirsi a ricerche di più punti di vista, da condividere nelle procedure, negli obiettivi e nei risultati attraverso il dialogo epistemico, volto a liberarsi dei settarismi dogmatico-religioso e scientisti-laicista, chiusi al soprannaturale.  Del resto, la sociologia – lo sapeva bene L. Sturzo quando scriveva La sociologia del soprannaturale – non può chiudere gli occhi alla permanenza costante delle religioni nella storia, anche quando diminuiscono le appartenenze e sorgono nuove credenze in un processo di progressiva frammentazione. Una visione più ampia libera dai dogmatismi di cui anche la cristianità si è macchiata imponendo la dottrina ideologicamente e non di rado violentemente (tortura, processi per stregoneria, esecuzioni capitali, conversioni forzate).

La sociologia non può restare ancorata alla legge dei tre stadi di Comte con l’esaltazione del progresso tecnico-scientifico e il rifiuto delle ‘fittizie’ filosofie e teologie, perché restringerebbe il suo orizzonte di osservazione. Il nostro autore si professa realista/riformista perché lo sguardo sulla realtà deve rimanere aperto e impietoso dei mali sociali, i quali sollecitano al cambiamento e dunque alle utopie piuttosto che ristagnare nel pessimismo: tutti i movimenti collettivi, laici, confessionali e misti hanno mirato a creare luoghi identificati come migliori. Da una parte, dunque, l’essere umano osserva e interpreta, dall’altra ha bisogno di sognare per realizzare società migliori. 

Rispetto a interpretazioni chiuse alla realtà fattuale, Bento fa una lettura benevola e in realtà poco critica – di quanti autori come Nietzsche, Buddha, Freud, Machiavelli, Marx, le hanno combattute, liberando l’orizzonte interpretativo da sovrastrutture ideologiche di varia natura. Apprezza Nietzsche perché ha rivendicato un realismo libero dal clericalismo inteso come sistema di potere che pretende di giudicare il vero e il falso, di moltiplicare i precetti e vedere in ogni infelicità un castigo e una volontà di Dio. Il suo Cristo è un contestatore del potere sacerdotale, un santo anarchico, il cui Vangelo è stato tradito dal cristianesimo. 

Apprezza ancor più Buddha perché ha indicato un percorso diretto a scoprire e liberare l’oro che è in interiore homine, che è sempre stato lì (natura di Buddha), ma che non si rivela a chi è concentrato sulle esperienze del corpo. Buddha ha risvegliato se stesso e i suoi alla Realtà presente nella realtà, proponendo la liberazione secondo un percorso di meditazione-osservazione oltre l’apparente. L’autore inevitabilmente sbiadisce le peculiarità che distinguono il buddismo dall’Ideale di Chiara sottolineando piuttosto la prossimità nel superare la visione del mondo a scacchiera, ossia diviso in compartimenti contrapposti e nel chiarificare lo sguardo reso capace di vedere la luce che svela la tela delle relazioni che sottende ogni cosa. 

Quanto al confronto con Freud, Bento riporta la metafora del ragazzo schiacciato da tre padroni: i desideri insaziabili dell’Id, la severità repressiva del super-ego (dittatore interno) e i pericoli del mondo esterno. La persona, avviluppata in un cumulo angoscioso di pulsioni, pressata da dettati moralistici che invitano alla mortificazione, così abbondanti nella letteratura devozionistica, è sempre sul punto di cadere nelle patologie della disperazione. Non ne esce senza mutare la visione ‘a scacchiera’ nella quale prevale la lotta contro le tensioni che inducono ad aggredire, uccidere e considerare addirittura la violenza necessaria e potenziando la spiritualità dell’amore.

Nell’Ideale di Chiara l’io si riposa attraverso un processo epistemico più gentile e flessibile che scopre ciò che è in ciò che sembrava essere, ma non era. Lo sguardo riconosce l’importanza dell’ermeneutica e del sentire di ciascuna persona. Bento cita  G. Leopardi, che focalizza la sua attenzione sull’universalità della sofferenza:  “Là quella rosa è offesa dal sole…langue, appassisce. Là quel giglio è succhiato crudelmente da un’ape… Il dolce miele non si fabbrica dalle industriose api senza indicibili tormenti … senza strage spietata di teneri fiorellini”. 

Se si volesse riassumere in due parole ciò che il libro ci consegna, direi: Sguardo e Salto

Lo sguardo – tema da sempre decisivo nell’uomo della caverna di Platone come per il serpente della Bibbia – pone l’accento sull’attenzione alla realtà così com’è, senza riduzionismi, che nel mondo contemporaneo si concentrano sulla produttività industriale-capitalista minacciosa della sopravvivenza. La vita umana non può essere soggetta a un modello di felicità come espansione, ossia come felicità ‘borghese’ del consumatore proprietario e devastatore di beni, foreste, ambienti e popoli. Lo sguardo realista è laico ma non laicista, perché aperto alla Realtà con la maiuscola dentro e oltre la realtà. Non cerca il pretesto per mettere in moto processi di etichettamento e marginalizzazione contro chi sostiene cosmovisioni inclusive e religiose: “Mentre nella laicità il diritto alla fede è garantito ai credenti e il diritto alla non fede ai non credenti, nel laicismo le credenze sono squalificate da un’ideologia unilaterale della ‘scienza’ che si considera superiore”. 

Bento cita il fisico Erwin Schrödinger, “il mondo osservato è solo un’apparenza: in realtà non esiste nemmeno”. Lo sguardo di Chiara è religioso-realista, dunque né ristretto alla realtà fisica né confessionale-tradizionalista. Lo si può chiamare sogno se lo si intende come essenziale alla visione della realtà, anche per un’analisi sociologica, (d’accordo con Löwy) che non assolutizza la scienza con la sua pretesa di una neutralità universale che nasconde interessi settoriali. La parola ‘sogno’ va dunque disambiguata, nel senso che non si riferisce a un’illusione ingenua, ad un mondo aereo e riconciliato. Indica piuttosto uno sguardo ‘alto’ meta realistico, in quanto capace di vedere una Realtà più profonda nella realtà osservabile empiricamente o concettualmente. Si tratta di “pensare ciò che nessuno ha ancora pensato su ciò che tutti vedono”. 

Bento distingue tre livelli di realtà, ma non in successione evolutiva come in Comte, bensì interconnessi: lo sguardo è realista perché penetrando il primo livello (fisico) e il secondo (angeli, santi, comunità spirituali), coglie un terzo livello di realtà, di ‘non forma’ in cui il vuoto delle forme si riempie di sostanza. Lo sguardo che non resta intrappolato nella ‘dogmatica sociologico scientifica’ percepisce ciò che illumina e lega ogni esistente: una penetrazione-chiarificazione che accomuna le diverse prospettive religiose.

Se il sogno di Chiara ha trovato accoglienza presso i Buddhisti – e si può comprendere chi può trovare eccessiva vicinanza tra le due cosmovisioni – è perché anche Buddha mira a raggiunge una penetrazione intrafisica (diversa da quella metafisica, concettuale), grazie ad una ermeneutica aperta e contemplativa, che consente di percepire il soprannaturale come forza vitale nel naturale evidenziando la trama unitiva che tutto collega. 

Tra le Realtà e la realtà c’è connessione dialogica grazie ai portali di comunicazione (meditazione, preghiera, supplica, gratitudine liturgia, templi) che aprono a cambiamenti nel modo di vedere-pensare, che generano conversioni e comunità. 

Un portale chiave è la sofferenza che fa crollare il mondo dell’apparenza: attraverso il limite, il male, gli scarti si aprono gli occhi all’amore che svela ciò che prima non era stata percepito già mentre si è con i piedi per terra nel mondo: Dio non abita un luogo separato, ma si fa presente e opera in e con l’essere umano (Bento cita dal Pater Noster: ‘come in cielo così in terra’). La visione del filo d’oro che unisce gli esseri è realistica per eccellenza, liberatrice e promotrice di sinergie. Nel sogno di  Chiara l’amore è cristico ossia capace di vedere il Cristo come la realtà più vera di ognuno. Da qui la necessità di promuovere una ‘Scuola dello sguardo’, in cui ci si allena quotidianamente alla visione lucida della Realtà nella realtà. 

La seconda parola è il salto che implica la fiducia verso se stessi e gli altri anche quando non è possibile quel filo d’oro che ci unisce. La pratica della fiducia radicale caratterizza il salto nel buio, oltre il vuoto, l’assenza di comprensione. Invece di arrabattarsi a cercare soluzioni il salto investe, si affida all’Amore che nel buio non vede ma sa che lo porterà fuori dalla visione a scacchiera, metafora che evoca mondi separati e che Chiara invita ad affrontare lanciando in essa quel che getta la visione chiarificatrice e unitiva. 

L’altra metafora è la ‘nuvoletta’, che consente di vedere dall’alto, di muoversi nella vita con una luce che non propone un sistema di morale e di dottrine, ma invita ad assimilare il proprio sguardo a quello di Dio e in esso vedere tutti gli esseri umani come sostanzialmente buoni, anche se vivono in modi scomposti moralmente e giuridicamente perseguibili. Il salto investe in amore per qualunque prossimo: “Tu vali più di quello che hai fatto”, come diceva P. Ricoeur. Senza un tale investimento, nessuna terapia psicologica e tanto meno il carcere potrebbero funzionare. Il libro dunque riconduce ad un sogno molto operativo: l’amore che aziona la vita sociale come la dinamo per la bici: produce il buon vivere comune a cascata e sostituisce alle contrapposizioni il luogo epistemico di un “Insight luminoso universale”. Si tratta dunque di sguardo e di salto, ma sempre mossi dalla dinamo dell’amore e dell’amore reciproco, sul quale si auspica un ulteriore approfondimento. 

Giulia Paola Di Nicola

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